Quella che stai per leggere è una delle “fiabe della ciclicità”, ossia una delle narrazioni personali e originali nate in seno al Ciclo di incontri base – Risveglia la saggezza del tuo ritmo ciclico con l’ausilio del SoulCollage®. Tutti i diritti sono riservati.
C’era una volta un oceano di stelle, un mare infinito di polveri e schegge di luci; tra di esse il profilo soave di una figura senza tempo: una fanciulla dai lunghi capelli biondi con occhi della stessa luce degli astri che la circondavano.
La fanciulla fluttuava in quel luogo di potenza silenzioso, immobile e in movimento dalla notte dei tempi.
Sempre stata solo in compagnia di galassie e spirali, la ragazza si affacciò a guardare uno di quei mondi sospesi nel vuoto, chiedendosi cosa potesse significare vivere in uno di quei luoghi, lì dove il silenzio poteva non essere l’unico suono udibile, dove il peso potesse essere diverso, dove l’olfatto poteva percepire odori nuovi e le mani scoprire la consistenza delle cose.
Decise quindi di fare un salto ed entrare in uno di quei pianeti.
La sua veste era un leggero peplo bianco, morbido e delicato; decise di camminare in quel mondo nuovo, mimetizzandosi il più possibile con esso per viverlo e per viverne gli aspetti senza alterarlo con la sua presenza.
Camminò lungo terreni scoscesi tra ruderi e campagne, fino ad appoggiarsi con la schiena alla torre di un castello: si soffermò a percepire il calore del sole, il blu del cielo e quella sensazione nota di antichità e infinito.
Proseguì imbattendosi nel buio di una tempesta, e sentì il freddo sulla pelle, sulle fredde punte aguzze di quella fredda natura che la circondava in quel momento; nonostante ora la percezione fosse così diversa da quella vissuta alla torre, decise di proseguire: quel luogo le stava donando sensazioni nuove, la consistenza, la materialità.
La forza del vento iniziò a diminuire, dalle nubi i primi raggi di sole cominciavano a filtrare e la fanciulla, con gli occhi nuovamente accesi, si mise a correre a piedi scalzi, sopra un soffice prato che morbidamente ricopriva una verdeggiante altura, sulla cima della quale, ansimante sorridente e gioiosa, vide una meravigliosa distesa di colline, fiori e, infine il mare, in lontananza.
La percezione che sentiva stando lassù era un misto di felicità, stupore ed eccitazione che la spinsero a scendere, trotterellando a piedi scalzi tra margherite e denti di leone, fino al mare. Lì, vicino a quella grande distesa d’acqua, l’aria aveva un profumo salmastro, fresco e leggero; una lieve brezza le muoveva il vestito e i lunghi capelli biondi seguivano le folate di quello stesso vento. Decise di immergersi, offrendo al corpo una nuova sensazione di fresco, di bagnato; si divertiva a sentire il vestito addosso alle gambe e i capelli muoversi in assenza di gravità. Giocavano insieme: acqua, vesti, capelli e profumo.
Ormai il cielo sovrastante stava prendendo sembianze a lei note: oscurità e stelle; scorse lontano una dimora isolata, la raggiunse ed entrò.
La prima cosa che notò fu il chiarore di un fuoco acceso e il suo calore, il profumo di legna arsa e la sensazione di tepore; si sentiva circondata da uno strano, silente invisibile ma percettibile abbraccio. Successivamente una nuova sensazione di materia prendeva piede in lei, come se la veste, i capelli e il suo corpo tutto fossero diventati più pesanti. Decise di bearsi ancora un po’ in quella fisica concretezza; era come se tutte le emozioni percepite durante la giornata le si stessero fissando addosso, donandole una forma più visibile, una sostanza reale; la stessa della terra calpestata, dei fiori annusati, del mare che l’aveva bagnata. Rimase lì ferma a occhi chiusi a sentire, a palpare quel corpo così sfaccettato dalle molteplici sensazioni vissute; trascorse così tutta la notte: nel silenzio, al buio.
Il giorno dopo si rimise in cammino e nuove percezioni le arrivavano dall’esterno: i piedi si bagnavano calpestando il prato ancora umido di rugiada, le gambe diventavano sempre più pesanti col passare delle ore, e i capelli, per la prima volta, erano bagnati dal sudore. Arrivò in un bosco con una splendida e silenziosa radura al centro; nelle narici l’odore di umido, negli occhi penombra mista a fasci di luce, nelle orecchie il cinguettio di strani uccelli. Si affacciò timidamente sullo specchio d’acqua che nasceva per incanto nella radura; quell’ambiente era diverso da tutti gli altri visitati.
In quel luogo lì, lei percepiva qualcosa spingerle da dentro: si guardò le braccia e vide la pelle diversa, con fremiti e brividi, quella che noi chiameremmo “pelle d’oca”. Consapevole di quella sua intensa sensazione, si avvicinò allo specchio d’acqua e vide il suo volto riflesso: ora i capelli non erano più biondi e lisci, ma scuri e mossi con grandi occhi verdi a illuminare il viso.
Fece per sollevarsi dal laghetto e vide, dalla parte opposta, una pantera nera abbeverarsi; l’animale immergeva lentamente la sua rosea lingua nell’acqua, senza fretta. Sentitosi osservato, l’animale alzò anch’esso il muso. Il felino dal manto nero e occhi verdi screziati guardava diretto la donna: un altro animale dal manto nero e occhi verdi… lo stesso odore. Per entrambi fu guardarsi allo specchio.
La pantera continuò ad abbeverarsi come se la figura di fronte a lei fosse un suo riflesso; lei rimase a guardarla.
I brividi erano spariti.
©Sara
Lascia un commento