Quella che stai per leggere è una delle “fiabe della ciclicità”, ossia una delle narrazioni personali e originali nate in seno al Ciclo di incontri base – Risveglia la saggezza del tuo ritmo ciclico con l’ausilio del SoulCollage®. Tutti i diritti sono riservati.
C’era una volta un fuoco, grande, gioioso, luminoso, chiuso in un albero. Voleva uscire, l’albero era la sua anima, lo conosceva, ma le sue pareti gli stavano strette, aveva paura di implodere, di dar fuoco al suo albero sacro se non fosse riuscito a liberarsi. L’albero lo comprese, in fondo era la sua casa, la sua dimora sacra, sapeva che se lo avesse lasciato libero di andare non lo avrebbe perso, era il suo tempio e da lui sarebbe ritornato.
Fu così che lo lasciò libero di uscire, di esplorare quegli abissi, attratto dalla luce, dalla sua vera natura. Sentiva il desiderio di sbocciare, di rompere gli argini, sentiva in lontananza l’odore e il sapore del frutto proibito, della chiave segreta. Ma il buio era denso, pieno di ragnatele da cui districarsi. Il fuoco non era mai stato al buio, non aveva mai avuto il coraggio di spegnersi, non sapeva che la luce sarebbe tornata, non riusciva a muoversi, si bloccò. Si bloccò dinanzi a quel cammino che aveva così anelato. Sentiva il bozzolo che si era costruito sfaldarsi, fratturarsi inesorabilmente, ma rimaneva immobile nel suo guscio, in Attesa. Era davanti al baratro, serviva coraggio per lanciarsi.
Poi, dal buio arrivò il suo animale guida, lo spronò e lo accompagnò in questo doloroso passaggio dalla stasi al movimento. Lo condusse sulle vette più alte, dove poteva scorgere la sua casa, dove poteva lasciarsi cullare dal vapore del vulcano da cui aveva preso la vita. Quel cielo, quel vapore sottile, quella casa lontana ma presente calmarono il fuoco, gli permisero di respirare, di ricordare che ogni volta che veniva calpestato, spento, ucciso, sarebbe potuto ritornare in alto, avrebbe potuto riprendere calore dal suo vulcano, avrebbe potuto di nuovo vivere. In un ciclo eterno di morte e rinascita.
E così il fuoco sacro e la donna che lo custodiva poterono finalmente riposare, godere di un attimo di piacere, di leggerezza, di sapore. Era tanto che non assaporavano la vita e finalmente in quel momento addentarono il frutto proibito. E quel frutto sapeva di dolce e di salato, di mare e di montagna, di formaggio e scarpe coi tacchi, di capelli sciolti, di corpi nudi al vento. Quel frutto sapeva di sesso e verità, di ali e di colori, di vita e di morte, di sacro e profano.
Questa donna di fuoco adesso poteva ballare, poteva sciogliersi nell’abbraccio di Madre Terra, ma aveva bisogno di gambe forti, di radici salde per essere la Madre di se stessa. Aveva bisogno di schiacciare quella paura sotto i suoi piedi e trasformarla in luce, aveva bisogno di pigiarla forte come si fa con l’uva, di masticarla, di benedirla, di onorarla con la danza. Con i piedi nudi poteva sentire la Terra e il suo richiamo, poteva sentire la vita scorrerle sulle gambe come quei piccoli lombrichi scalatori che solleticavano la sua pelle sensibile. Fu un’istante, un’istante in cui la Madre divenne Figlia.
Figlia della Grande Madre, figlia della Terra, figlia della Vita e figlia della Morte. Nata dalla Terra e dal Fuoco, nata dal Vulcano, nata dal vapore, ora sfiorava leggera la superficie di quelle zolle fertili. E nello stesso momento in cui mise radici, si innalzò di nuovo verso il cielo, il cielo della sua interiorità; di nuovo quelle vette alte, ma di se stessa, che coincidevano con i punti più bassi, più profondi, in un infinito sali/scendi, in una molteplice dimensione alta e bassa, lunga e corta, stretta e larga. Navigando velocemente dentro quella spirale, lei trovò qualcuno ad attenderla. Ferma, dolce, ieratica, potente oracolo, serpeggiante messaggera, unità nella divisione, oscurità nella luce e luce nell’oscurità. Era il suo Intuito, la sua guida, il suo centro e l’avrebbe condotta di nuovo attraverso i suoi misteri, attraverso la verità e i segreti, in un nuovo ed infinito ciclo, in un viaggio dentro e fuori, sopra e sotto.
Non era finita, il dolore non era scomparso e la paura era ancora cenere bollente sotto i suoi piedi, ma adesso aveva capito come proteggersi, adesso aveva un guardiano, una protezione, uno scudo e delle forbici affilate. Il passo era compiuto, il bozzolo era rotto, dimenticato. Il fuoco bruciava ancora, la donna amava ancora, la vita era ancora lì, niente era cambiato… e tutto era diverso.
©SaraLù (Sara Petrozzi)
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